Basket
Aria di Parma
Oscar Eleni 13/04/2015
Oscar Eleni dalla Cittadella di Parma voluta da Alessandro Farnese. Prigione, luogo per patiboli diventato parco, per trovare un momento di quiete dopo aver tirato di tutto sul televisore guardando Milano-Roma e Reggio Emilia-Sassari, il nostro malvagio universo cestistico dove gli imbonitori fanno a gara per sparare le troiadas variadas più strampalate. Si gioca malino, c’è un atmosfera come neanche in Francia quando si andava giocare in campi rubati al mercato delle oche, ma qui va bene così e per questo non facciamo fatica a credere che persino Petrucci, mentre Meneghin, giustamente, tossiva e guardava altrove, stia lavorando pe ridare alla FIBA la totale autorità sulle manifestazioni di club con la bella trovata di infilare le partite delle Nazionali senza filtri e senza campioni durante la stagione.
Vi dicevamo di Parma e della nostra entrata dalla porta del Soccorso nel pentagono dove Roberto Donadoni ha portato i resti della squadra di calcio che l’anno scorso, sul campo, aveva conquistato l’Europa, e ,in questa stagione di fallimenti, tradimenti, lui è rimasto sulla nave mentre i topolini arguti se la filavano, salvo poi trovare soltanto spiagge per riposare e non campi dove giocare, ha fatto pure il capolavoro di battere la Juventus che in Italia, un po’ come l’Emporio Armani, sembra inattaccabile. Quel successo propiziato da un ragazzo argentino allevato a tortelli e roba buona come avrebbe detto Silvio Smersy, punta e pittore, attaccante che non colpiva di testa, un genio che ci ha lasciato all’inizio di questo secolo di nuove barbarie, vale lo scudetto della dignità e della passione. Un capolavoro che dovrebbe convincere tutti a purificare l’aria, senza coindizionamenti da parte di agenti o delle curve: la passione e la dignità esistono ancora.
Nella Cittadella, mentre il Parma faceva esercizi defaticanti pere i pensionati come ai tempi di Nevio Scala quando ancora non sapeva che la vecchiaia era roba devstante, ci siamo seduti a leggere i libri che avevamo portato per vincere la tristezza, l’insoddisfazione, la nausea per tanta piaggeria mediatica. Tre piccoli tesori che consigliamo al colto, ma anche all’inclita, ammesso che ci sia qualcuno capace di ammettere di avere qualche lacuna. Non te ne accorgi leggendo, ascoltando. Libertà di barare sulle parole, su tutto.
Dunque i libri. Il primo lo sfogliamo per gratitudine, affetto, adesso che non riusciamo più a stare dietro a tutti i noir italiani. Lo ha scritto Carlo Grandini. Un giallo storico ambientato nella sua Ferrara: ”Forbici e veleno”. Merita un viaggio al Palazzo diamanti come quelli che Carlo ci faceva sognare quando nel 1974 lasciò il Corrierone per l’avventura del Giornale con Montanelli. Lui doveva organizzare la pagina, poi divennero pagine, spesso molto belle, dello sport. Credemmo all’avventura, ringraziando Caruso, altro scrittore di successo, che gli aveva fatto il nostro nome mentre in Gazzetta scalavamo la montagna della passione atletica, proprio perché c’era lui con Tauceri a rendere tutto più facile nell’angoscia di chi aveva lasciato un mondo rosa per l’ignoto anche se dipinto da Montanelli.
Il secondo libro che sfogliamo avidamente, siamo verso l’ora di pranzo, lo ha scritto Roberto Perrone, geniaccio ligure che scriveva di teatro e poi ha sposato lo sport, viaggiatore per qualche anno con il Giornale prima che al Corriere gli dessero la giusta luce che pure non mancava quando a comandare erano stati prima Caruso e poi Pierluigi Fadda. Il libro di questo recchelino che idolatrava il caimano Pizzo e la focaccia si chiama appunto: “Manuale del viaggiatore goloso”. Ce lo ha procurato il nostro libraio di fiducia, adesso che le banche e i parrucchieri sostituscono sempre più spesso i negozi dietro l’angolo dove trovavi gente che sapeva indirizzarti, spiegare le cose.
Il terzo libro da sfogliare alla Cittadella è quello che ci ha fatto anche scappare dal basket che avvelena le ultime partite de grande Basile, nobile poeta contadino che ha saputo far crescere nel cuore di tanti la passione per gli atleti che ancora non si presentavano sul campo con le resine delle mummie egiziane, i gambali per proteggere sponsor e muscoli resi fragili dalla lambada più che dagli allenamenti. Il lavoro è di Alberto Bucci, il dottor Stranamore che insieme a Maurizio Marinucci e Andrea Basagni ci ha portato nei suoi mille possedimenti culturali, nella sua vita ricca di battaglie sorprendentemente vinte, quasi tutte: “Fuori tempo, riflessioni di un coach tra vita e canestri”. Tesoretto da tenere sempre nella borsa da viaggio per chi allena, ma anche per chi gioca o vorrebbe fare il dirigente. Certo la sua voglia di amore, di piacere, di non piegarsi mai gli fa vedere tutto in chiave Alberto: soltanto amici per la vita, giocatori riconoscenti, appuntamenti con la storia tutti rispettati. Non è andata sempre come voleva lui, qualcosa va nascosto se fai un bilancio e stai sputando sulla chemio, ma a noi è piaciuto lo stesso. Certo abbiamo amato e vegliato con il dottor Stranamore nei posti più strani, alla vigilia di una partita di coppa a Bologna, sul colle delle sue Madonne a Livorno prima di battaglie non tutte terminate con successo, insomma lo abbiamo accompagnato volentieri dai giorni in cui ai campionati universitari, complice il miglior Buzzavo di sempre per la Bologna vincitrice, ha fatto sacramentare il barone Sales che a Viareggio vide l’uomo che portò al sole l’impero Benetton ridicolizzare la sua Milano e il povero Bovone, un santo che giocava da pivot, uno che avrebbe meritato la felicità e invece scoprì la solitudine nella Siena che gli aveva ridato il gusto delle cose. Bucci è il gusto delle cose, ironia, goliardia accompagnato dalla chitarra di Calamai, i lazzi dei Bonaga, le previsioni tutte azzeccate dell’avvocato Porelli che oggi a metà di questi frilli direbbe con voce tonante “non passa”.
Tre libri da leggere, quello di Bucci da tenere sul comodino per ripassi nei momenti di crisi. Da imporre ai corsi per allenatori, come del resto quello di Crespi, come tutti quelli scritti da grandi allenatori che raccontando i loro percorsi possono aiutare queste nuove generazioni folgorate dai canestri che sputano, dai ferri che tramano contro tiratori imperfetti. Viaggio strano, di purificazione, nella speranza di rivedere Paolino Montali, grande pallavolo, bel calcio, che nell’ultima intervista al Corrierone, bella, fatta bene dal Costa, bella quasi quanto quella della Piccardi, altra ex, molto ben riuscita, del mondo montanelliano, con Reja che è passato in mezzo al fuoco ultrà di Bergamo cercando quello che Dennis aveva smarrito.
Sul campionato poco e nulla da dire. Abbiamo già sei finaliste. Due usciranno dalla fiera dove molti giocatori, soprattutto stranieri, fingono di essere sull’albero oleoso della cuccagna e fingono spesso di cadere per non allungare la stagione, avere possibilità di guadagnare nei playoff degli altri. Situazione mai corretta o medicata. Abbiamo accettato tutto, vizi e poche virtù, accorgendoci soltanto quando arriva un gigante come Artest che è difficile mettergli intorno gente capace di seguirne il passo e l’ispirazione perché qui, come avrebbe detto Grigoletti, i pompatori, quelli che sfondano il legno a furia di palleggi, facendoci credere che stanno aspettando l’attimo per il passaggio illuminante, intanto il tempo scorre e la difesa si adegua, ce la menano e ci fanno scappare via anzi tempo dai campi dove tutto sembra finzione.
Resta da chiarire ancora se Pesaro ha fermato il moscone troppo presto per salvarsi davvero dai pirati di Esposito, dalla Caserta che ha qualcosa in più rispetto alla squadra che Paolini sembrava aver rivitalizzato prima di ritrovarsela vuota e un po’ confusa.
La Lega ha già chiesto i nomi di quelli da premiare durante i playoff. Glieli daremo. Per adesso come allenatore Buscaglia ci convince più di Moretti, ma anche Recalcati e Menetti hanno fatto cose che non pensavamo in mondi non sempre benevoli. Sul giocatore italiano stravince Alessandro Gentile, ma noi puntiamo ancora su Pascolo, magari il Cinciarini di Reggio Emilia. Sui giovani il Mussini che con Della Valle ha fatto meraviglie vere. Fra i dirigenti Trento alla grande e poi la Cremascoli per il colpo di coda finale anche se per un lungo periodo la sentivamo ostile a tutto, nemica in Lega con qualche ragione, ovviamente, straniera in una Federazione dove, è vero, fa tutto e disfa tutto Petrucci, ma dove aveva spazio per correggere certe rotte.
Pagelle bevendo Malvasia e chiedendo ai clown del grande Smersy di farci strada fra gente che non conoscendo più il nostro nome pensa di essere assolta quando confonde il valore delle cose e delle parole, ma in questi tempi la parola rubare fa sorridere al bar nelle case nobili e anche nelle catapecchie dove girano i nuovi protagonisti del Miserable 2015.
10 A DATOME che ogni tanto rivede il campo con Boston per il messaggio mandato a Gallinari dopo il record di 47 punti. Capitano suo capitano. Una bella coppia. Pianigiani potrà contare almeno sull’affetto sincero di due che si stimano, sugli altri sarà più difficile intervenire per strappare maschere che ancora adesso rendono così problematica la costruzione di un piano lavoro per Azzurra tenera che lavorerà in Trentino e proprio in casa dell’Aquila farà i pirmi passi contro Olanda, Germania e Austria (?).
9 A Sandro GAMBA per il bel ricordo sul Corrierone del 25 aprile da resistente dove una raffica gli rovinò la mano poi rieducata con sacrificio, usata per vincere tutto nel basket come giocatore, prima di essere fra i grandi maestri della casa Italia, per non aver fatto una piega quando ricordando il Mussini che poi ha vinto col resto del mondo la sfida giovanile con gli americani a Portland si sono dimenticati di ricordare che, per dieci anni (vi sembra poco?), il reclutatore e l’allenatore di quella squadra, del primo Nowitzki è stato proprio lo Spartaco di via Washington 25.
8 Ad Alessandro GENTILE se riuscirà a sorridere almeno adesso che ha superato suo padre, primo osservatore, tifoso e, speriamo critico, nella classifica dei marcatori in maglia biancorossa. Deve alleggerirsi un po’. Sappia che è assolutamente vero il detto che non è tutto oro quello che luccica, e verissimo che in uno sport di squadra si può arrivare a vincere soltanto se si vedono i pregi e non soltanto i difetti degli altri. Da un capitolo del libro di Bucci.
7 Ad Alberto BUCCI per questo suo bel viaggio nella pallacanestro, ma anche nel golf e nel calcio, per la testimonianza di vita che dovrebbe dare speranza a tutti, anche a quelli che, magari, non hanno sempre considerato il dottor Stranamore l’amico per la vita, il sindaco giusto per la loro città, il dirigente illuminato per ridare prestigio a Forlì.
6 Al Carletto FABBRICATORE, ex talento che ora sdottora più o meno piacevolmente su Sportitalia, se nei prossimi mesi riuscirà ad organizzare per i maniaci del basket che lavorano per e con Gandini, della Milano singhiozzo, una cena presentando i suoi famosissimi gamberi alla busara. Ci servono ore di ricreazione per sopportare tutto questo malessere generato dalla furbizia di poter mettere contro gente di peso e altezza diversi. Le vere grandi squadre lo fanno, ma prima ti mettono allo spiedo correndo e passandosi davvero la palla. Cosa vuol dire davvero? Per darti un vantaggio, non per far dire in tribuna: visto che roba! Quello serve se in società manca l’equilibratore d’affetto e vede le cose dalla scrivania, avendo scelto figli e figliastri a prescindere. I giocatori veri se ne accorgono subito.
5 A Romeo SACCHETTI che, con la sua Sassari dai mille umori e sapori sta mettendosi davvero in posizione pericolosa nel kamasutra delle finali, se non chiederà a tutti i pettegoli di mondo basket di fare silenzio. Dicono che lo vorrebbe Varese e se il matrimonio con Sassari e Sardara fino al 2018 dovesse essere interrotto per motivi che, al momento, sembrano oscuri per un vincitore su avversarie che valevano e costavano il doppio, Milano in coppa Italia ad esempio. I giocatori e i loro agenti hanno orecchie in ogni taverna. Certe facce, certe partite, le capisci se ti accorgi subito del fuoco amico.
4 A VARESE se non capirà come è arrivata questa tormentata salvezza, se non troverà subito una soluzione a tutti i guai creati in questa annata balorda dove più della logica ha vinto spesso il cuore con i disastri che poi avvengono quando si brinda spesso all’amcizia dimenticandosi che certe ore vanno anche dedicate al lavoro serio. Ora sappiamo chi ha salvato cosa e come.
3 Ai cultori del basket che idolatrano tipi come WESTBROOK, il matamoros di Oklahoma che si prende 43 tiri in una partita, perdendola pure. Ora se è questo il gioco che vi ha fatto innamorare allora è tempo per la nostra vecchia e stupida guardia di lasciare spazio agli spazzolatori di scarpe dei nani, andando a cercare emozioni sui campetti, almeno su quel cemento sai cosa ti aspetta. Cantoni in affitto se ne trovano sempre, una volta in certe trasferte pensavamo di avere di fianco gente che la pensava come noi. Poi, all’improvviso, eccola in casa d’altri a banchettare e sparlare.
2 Ai viandanti di PORSTMOUTH, il piccolo esercito italiano di osservatori, allenatori, la Virtus ha fatto persino un comunicato, che è andato in America per vedere tutti quei giocatori che non entreranno nelle scelte NBA, ma che hanno voglia di vita professionale oltremare, perché anche qui ci sarebbe tanto da vedere e da scovare. Sappiamo che nelle minori, come ha detto un saggio tipo il Boniciolli da bosco e riviera bolognese, c’è almeno un italiano per squadra con qualità per stare nei campionati maggiori. L’America ha tanto, ma non tutto quello che ci serve.
1 A SACRIPANTI e VALLI che si sono accorti un po’ tardi di certi difetti mentali delle loro squadre. Vero che a Cantù il palleggio avvelena tutto il resto, vero che in un clima come quello della Virtus nobile dimezzata si tende spesso a voler fare gli eroi quando servirebbe stare legati insieme. Siamo a poche giornate dalla fine. Cantù rischia di stare fuori dai play off, la Virtus di farseli mangiare oltre che dalla penalizzazione anche da se stessa.
0 Alla FIBA e quindi anche a Petrucci che la ascolta, per questo patto da priorato di Sion per tornare in possesso dell’eurolega, la coppa fra le migliori squadre del vecchio Continente perduta quando le società più forti compresero che chi comandava in quei tempi a Monaco, ora in Svizzera, voleva tutta la torta senza spartire nulla con chi faceva davvero spetacolo. Un po’ come quelli della NCAA che guadagnano miliardi ma sono pronti a squalificare i giocatori anche se prendono soltanto un’oliva dorata dentro il loro bibitone sponsorizzato: soldi alle università, ovviamente, non ai giocatori. Ora vedremo se le varie associazion insorgeranno. Va bene, tu FIBA vuoi tutto, ma prima facci sapere cosa sei disposta a condividere con chi è il vero protagonista. In Lega italiana se ne saranno accorti dell’offensiva che ora prende l’Eurolega: poi si papperà tutto con la baggianata delle nazionale, tipo calcio, da spupazzare in piena stagione con il rischio che vada tutto in vacca come certe partite di presunte stelle nelle stalle?
Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto