Pogacar o Pantani?

16 Luglio 2024 di Stefano Olivari

Credete nel ciclismo di Tadej Pogacar? Nei giorni in cui si riapre l’inchiesta su quanto accaduto a Madonna di Campiglio contro Pantani, l’episodio simbolo degli anni Novanta, è una domanda che il pubblico generalista pone a quelli della parrocchietta ciclistica, che dai tempi di Girardengo (forse anche da prima, ma nostro nonno, classe 1901, tifava per Girardengo, ovviamente senza mai averlo visto in azione, una specie di Indiscreto ante litteram, ed il nostro ciclismo comincia lì) difendono stizziti il presente dai sospetti. E così i 3’46” di differenza con il Pantani 1998 sugli stessi 15,8 chilometri di salita vengono spiegati con la bici, l’alimentazione, la squadra, gli allenamenti prevalentemente in Z2 (nella zona aerobica, in parole povere) con alternanza di Z4, e via supercazzolando.

Tutte cose che potrebbero spiegare un innalzamento del livello medio del ciclismo, in stile Fuentes, ma che non spiegano le differenze cronometriche fra Pogacar, ed anche l’impressionante Vingegaard post infortunio, con il resto dell’élite ciclistica, anche in tappe differenti dal punto di vista tattico. Cose da motorino, verrebbe da dire pensando alle accuse nei confronti di tanti, da Armstrong a Cancellara, comunque argomenti che possono essere portati a sostegno sia dell’onestà del ciclismo 2024 (senza doping, in un mondo di tutti onesti, le differenze si ampliano) sia della sua disonestà, nascosta da una narrazione rimasta ferma alla retorica dell’impresa, che in uno sport di prestazione forse è l’unica possibile. Tutto questo senza prendere in considerazione il fatto che chi racconta Giro e Tour o ne è l’organizzatore, nel caso di Gazzetta dello Sport e Equipe, o ne è comunque condizionato.

Come Giulio Cesare, non una mezza sega qualunque, aveva intuito, la moglie di Cesare non deve soltanto essere onesta ma anche sembrarlo. Ed il ciclismo di oggi non lo sembra, almeno nelle grandi corse a tappe che poi sono quelle che fanno entrare nel mito. È molto più spettacolare di quello degli anni Novanta, senza dubbio, e molto più fenomeno globale, ma se a un preparatore fiorentino o bresciano ne sostituisci uno basco non è che la logica cambi molto. Il punto non è comunque se il ciclismo di oggi sia onesto, ma se sia credibile più di quello squalificato, fra i Tour di Armstrong senza vincitori o quello di Contador 2010 assegnato ad Andy Schleck, di un passato recentissimo. Credete in Pogacar?

stefano@indiscreto.net

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