Fra Schwazer e Bossetti

23 Luglio 2024 di Stefano Olivari

Qualche giorno fa la carriera di Alex Schwazer si è conclusa in maniera penosa, ad Arco di Trento, con un ritiro causato dalla sciatalgia in una gara in pista i cui gli altri due concorrenti erano un amatore quarantaduenne ed uno letteralmente preso dal pubblico per raggiungere il numero di tre che avrebbe reso omologabile l’eventuale buon tempo del campione olimpico di Pechino nella 50 km (situazione che ai più anziani ha ricordato il record del mondo di Andrei a Viareggio). Le immagini ed i resoconti giornalistici (noi abbiamo letto questo sul Messaggero Veneto) sulla ‘gara’ dicono già tutto, così come tutto è stato detto, anche su Indiscreto, sul caso Schwazer. Adesso basta: non ci piace esaltare gli eroi più o meno finti del momento, ma nemmeno infierire su chi ha sbagliato ed è stato punito duramente.

Dal punto di vista mediatico la vicenda di Schwazer si inserisce in un filone che potremmo definire innocentista a prescindere, che nutre un pubblico portato ad empatizzare con il condannato anche quando le prove contro di lui sono schiaccianti. Un filone che ha i suoi libri, le sue trasmissioni (dalle Iene in giù), i suoi film e le sue serie televisive: Netflix anche limitandosi a mettere in fila fatti risaputi può instillare il dubbio sulla colpevolezza di Schwazer, come su quella di Bossetti. E chissà come sarà la serie in preparazione su Rosa e Olindo… In comune questi innocenti mediatici hanno una cosa che prende tutti noi: una certa semplicità, vera o apparente, che li rende credibili come vittime di un complotto. Per noi è molto facile credere alle lacrime di Schwazer, perché ci vogliamo credere, e conosciamo personalmente coppie con dinamiche simili a Rosa e Olindo, senza che abbiano (ancora) ammazzato i vicini di casa.

Dall’altro lato c’è la narrazione colpevolista, anche questa trasversale rispetto alle idee politiche, di tante trasmissioni del pomeriggio ma anche di giornali che come stella polare hanno il pubblico ministero, la sua carriera e la sua fotocopiatrice. Questa funziona per il pubblico generalista, mentre le nicchie tendono a stare dalla parte del personaggio. Nella peggiore delle ipotesi, cioè la colpevolezza accertata, c’è sempre un vissuto da buttare lì che spiega, contestualizza, e in maniera surrettizia giustifica. Tornando per un attimo a Schwazer, bisogna anche dire che questo tipo di pubblico di bocca buona si è saldato a considerazioni giornalistiche (è sempre difficile ammettere di avere dedicato la tua vita a cazzate, quindi si difende l’indifendibile: in questo senso chi segue il calcio e il ciclismo è davvero hors categorie) ed editoriali, con il volto pulito che piace trasversalmente. In ogni caso questa uscita di scena tristissima ci ha fatto apprezzare Schwazer almeno per una cosa, il fuoco sacro dell’atletica: chi non ce l’ha non si sarebbe mai sottoposto ad una umiliazione del genere. Bravo all’inizio e alla fine, in mezzo meno.

stefano@indiscreto.net

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