Boxe
Fury e lo sparring partner
Glezos 26/04/2022
Lo dico subito: mi sono sbagliato, e della grossa. È la frase che a giochi fatti mi era subito venuta in mente per l’ apertura di questa puntata. Ma prima ancora di dare adito a fraintendimenti, fermi tutti e riavvolgiamo il nastro. Già era partita male. Anzi bene, almeno all’inizio: non prendendo parte alla prima conferenza stampa di presentazione del match, Dillian Whyte (28-3) aveva sdegnosamente lanciato un promettentissimo guanto di sfida (“Non cado nei trucchetti da circo di Fury, parlerò solo sul ring”): bene, ci siamo detti, qui tutto fa pensare a un grudge match come pochi. E poi quel soprannome, The Body Snatcher (un omaggio all’ omonima vecchia ska band femminile britannica o al famoso b-movie?).
I 94.000 biglietti polverizzati in qualche ora – record europeo – e la prospettiva di uno Wembley strapieno timbravano l’ attuale soverchiante supremazia del pugilato inglese su quello a stelle e strisce. Anche a livello organizzativo, se è vero che Top Rank si avvinghiava all’evento scodinzolando ai piedi di un Frank Warren sempre più nel ruolo di contemporaneo Marchese di Queensberry (sì, proprio lui, quello che rovinò Oscar Wilde e che a tempo perso tramandò ai posteri norme e fondamenti della Nobile Arte). Poi eccolo riapparire all’improvviso, Dillian, alla conferenza stampa finale di settimana scorsa, ragionevole e modesto come solo un non-contender può essere.
Scambiando impressioni e sconcerto con il mio amico Carmine Loru Floris di P4P (iscrivetevi al suo video blog), avevamo convenuto: sì, in effetti come presentazione di una supposta notte epocale era tutto un po’ moscio. Lui, Tyson Fury (32-0-1), si confermava rispettoso e accomodante come non mai, davanti a tutti noi in attesa dei suoi show sopra le righe. Invece niente: solo amicizia e rispetto per il suo vecchio sparring partner, e persino una puntatina pepata al limite del kinky: “Sì, siamo stati molto vicini, in palestra e fuori, e abbiamo anche dormito insieme. Intendo nella stessa camera, cos’avevate capito?”. E giù risate e colpi di gomito al pensiero di un Gipsy King nelle vesti di novello Cristiano Malgioglio afterhours.
La tragedia si era abbattuta su di noi alle operazioni di peso, terminate in baci, abbracci e un mezzo rave party con la coppia Tyson-Dillian a ballare smagliante davanti a fan urlanti, con un paio di videoblogger americani che interrompono la diretta scandalizzati (“Siamo incazzatissimi. Domani vedremo una seduta di sparring ad altissimo costo: non abbiamo mai visto una roba del genere. È un insulto al nostro sport”). E qualche dubbio deve essere pur venuto a Tyson Fury per primo, se è vero che alla fine dell’ ignobile spettacolino avvertiva la necessità di annunciare al microfono: “Adesso ci vedete così, ma non fatevi ingannare dalle apparenze: domani sera sarà incontro vero, non temete”.
Tranquillo, Tyson Numero Due, niente da temere. Almeno per me, perplesso più del solito all entrata sul ring – in ritardo, come Greta Garbo – di un Dillian Whyte nero (lo è, si sa), vestito in nero e accompagnato dalle note di – appunto – Back In Black degli AC/DC, come se non bastasse anche quelli presi di peso dal repertorio di Tyson Fury (ricordate You Shook Me All Night Long prima dell’ ultimo match con Deontay Wilder?). Lui, il Gipsy King, è introdotto da American Pie di Don McLean, che ci azzecca come i cavoli a merenda (a meno che Buddy Holly – personaggio a cui si ispira il brano – c’ entri qualcosa con la boxe), per poi proseguire con un orrendo hip hop in salsa british mentre lui, Tyson, non resiste a un po’ di glamour accomodandosi per qualche secondo su un trono messo lì a bella posta prima di salire sul ring, sul quale – particolare trascurabile – pare sia in programma un incontro di pugilato per la cintura WBC dei pesi massimi.
Sì, perché nonostante l’ attesa dei fan che cantano a squarciagola Sweet Caroline di Neil Diamond (ma non era una roba da tifosi dei Boston Red Sox?), le tv, le celebrità e le modelle a bordo ring e il resto del carrozzone, sarebbe questo il motivo per il quale 94.000 anime e tutto il Pay Per View dell’ universo sono incollati qui in spazio e tempo. È qui che la gioia & orgoglio della Dolce Scienza dovrebbe mandare in scena il suo momento più autorevole e prestigioso: la cintura di campione del mondo dei pesi massimi, quella – e qui parte l’ode ai bei muri di una volta – di Jack Johnson, Jack Dempsey, Joe Louis, Rocky Marciano, Muhammad Ali, Mike Tyson – e lui, Tyson Fury.
È successo? No. Le sei riprese che si sono srotolate davanti ai nostri occhi (sei, come aveva previsto lo stesso Fury) prima dell’uppercut che ha posto fine alla figura barbina di Dillian Whyte mi hanno posto un po’ di domande al gusto di carta vetrata. Com’è possibile che il Whyte visto a Wembley abbia potuto contare su credenziali che l’hanno portato a combattere per il massimo titolo? Come ritenere legittime le sue ambizioni, dopo avere visto la sua guardia destra al limite del patetico, il suo caracollare per il ring e i suoi tre/quattro tentativi di destro a vuoto alla Vittorio Gassman ne I mostri? Come non tornare a questo e ad altri film della migliore commedia all’ italiana, di fronte alla combinazione montante-spintone da bar che ha spedito Whyte definitivamente per le terre? Perché ho perso tempo prezioso, magari rubato a spettacoli sportivi più degni, dove almeno i contendenti non ballano nel prepartita insieme all’ avversario, e per giunta ridendoti in faccia?
Che colpa ha Tyson Fury in tutto questo? Nessuna. Ha fatto il suo match, ha tenuto lontano il cosiddetto sfidante col suo allungo, come da previsioni; ne ha disposto come e quando ha voluto, come da previsioni, prolungando l’ incontro fino a un accettabile sesto round (chiudere prima – come faceva l’ altro Tyson, quello vero – sarebbe stato da maleducati); per chiudere ha scelto il colpo spettacolare, annunciandolo via telefono all’oceano di spettatori e a Dillian Whyte, che nel frattempo si era abbioccato e non aveva visto la chiamata. Addebitiamogli pure gli abbracci, gli attestati di stima e i balletti con l’avversario, tutte cose disdicevoli agli occhi e alle orecchie degli amanti dei guantoni.
Di sicuro Tyson Fury non ha alcuna responsabilità nello stato dell’arte di WBC e compagnia cantante nell’indicare un Dillian Whyte come sfidante obbligatorio. Ne ha qualcuna invece nel mentire sul suo imminente ritiro, al quale nessuno (da Frank Warren a Lennox Lewis e David Haye, commentatori a bordo ring) mostra di credere con convinzione. Ne avrebbe di più se si adoperasse per evitare Usik, Joshua o chiunque altro sia degno del titolo di contender, ma diamo tempo al tempo. Certamente i proclami del Re Zingaro, del nuovo Marchese di Queensberry e dell entusiasta coppia Haye-Lewis (che sbracciano entrambi gridando quanto siamo fortunati nell’ assistere allo show appena visto) sono risibili: unificazione o no, aspettiamo e vediamo come va a finire. Anche perché definire qui & adesso Tyson Fury “uno dei più grandi pesi massimi di sempre” è un castello di ricotta, almeno per il momento e per altri a venire.
Nella puntata precedente di Kolpo Basso insinuavo che si fosse dato troppo risalto agli aspetti modaioli del personaggio Tyson Fury, del suo pubblico di VIP e dell’ eco mediatico di Wembley trascurando il pericolo rappresentato da un avversario ostico come Dillian Whyte. Mi sbagliavo, e della grossa: meglio chi dava più peso ai vestiti, alle celebrità a bordo ring e a tutto il resto. Della supposta notte epocale a loro ha sorriso la notte, e a me è rimasta la supposta.
https://www.youtube.com/watch?v=EWqQavUC6ho
TUTTE LE PUNTATE DI KOLPO BASSO
Fury e lo sparring partner (26 aprile 2022)
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