Generazione di fenomeni

24 Luglio 2024 di Stefano Olivari

Ieri sera non abbiamo resistito a Generazione di Fenomeni – La miglior squadra di pallavolo del secolo e abbiamo fatto una cosa davvero da Generazione X, guardandolo su Rai 2 invece di cercarlo poi con comodo su RaiPlay. Eppure eravamo scettici su questo documentario, per il solito motivo: queste cose in qualche modo autorizzate (il lavoro di Paolo Borraccetti e Filippo Nicosia lo è, visto il patrocinio di CONI e FIPAV) sono celebrazioni noiose, piene di ‘uomini veri’ e di ‘partite storiche’ da contrapporre alla modestia del presente. Invece, a parte il fatto che il presente è eccellente, i campioni della pallavolo italiana anni Novanta, oltre ovviamente a Julio Velasco, hanno confermato la loro enorme personalità aggiungendo moltissimo ad un racconto che nella sua parte sportiva tutti conosciamo: i tre Mondiali, il boom dei club, le delusioni olimpiche.

Non sappiamo se davvero quell’Italia sia stata la squadra del XX secolo, come è stata definita dalla federazione internazionale all’atto dell’inserimento nella Hall of Fame: l’Unione Sovietica di Zaytsev padre e gli Stati Uniti di Kiraly non sono stati da meno. È però stata la squadra, al di là del nostro tifo, che è stata più grande nel periodo della grande espansione mondiale del volley, con nuovi tornei (la World League, oggi VNL, è del 1990), un professionismo diffuso e televisioni che ci facevano vedere quasi tutto. Come altre squadre mitiche è arrivata seconda al traguardo più importante e nel racconto ci si avvicina ad Atlanta con lo stesso spirito con cui Nanni Moretti guarda il Dottor Zivago in Palombella Rossa: speriamo sempre che finisca diversamente, poi l’infarto (o quell’ultima schiacciata di Giani) arriva inesorabile.

Il cuore del documentario è comunque il rapporto fra Velasco e i giocatori più forti della squadra: le testimonianze di Zorzi, Bernardi, Giani e Gardini fanno capire il malcontento di quella squadra quasi invincibile, di semisconosciuti diventati divi, nei confronti di un allenatore con una immagine fortissima ed una presenza mediatica in un certo periodo enorme: è con Velasco che nasce la figura dell’allenatore di pallavolo-tuttologo, rappresentata da tanti (Montali e Berruto, per fare due esempi scontati) e poi parzialmente rientrata, con lo stesso Velasco che ci tiene adesso a proporsi come uomo di pallavolo e non come guru. Da suoi ammiratori pensiamo che l’oro a Parigi dell’Italia femminile da lui guidata sarebbe in una logica di tifo la storia assoluta di questa Olimpiade.

Tornando al documentario, che consigliamo di vedere prima che le partite inizino davvero, vanno citate anche le tante storie che hanno segnato quel ciclo decennale, come le polemiche (anche sui media generalisti!) sui palleggiatori, da Tofoli a Vullo, da Meoni a De Giorgi, le cifre folli buttate nello sport in certi anni dai Berlusconi e dai Gardini, la voglia di alcuni di quel gruppo dimostrare qualcosa anche senza Velasco: missione compiuta con Bebeto (superdivertente l’aneddoto raccontato da De Giorgi sul Mondiale 1998) e anche con Anastasi. Colpisce, soprattutto oggi con il ‘Grazie lo stesso’ imperversante, la durezza un po’ di tutti (in particolare di Gravina, ben diverso dal suo omonimo della FIGC) nel ricordare le proprie sconfitte, perché arrivare secondi non è come arrivare primi ed i pochi che davvero lottano per arrivare primi lo sanno benissimo.

Generazione di fenomeni, fra gli Stadio e Jacopo Volpi, capitata al posto giusto nel momento giusto nell’Italia giusta. Il massimo. Poi la pallavolo è andata avanti, ed infatti quella di oggi è più spettacolare o comunque meno prevedibile di quella del cambio palla, ma il resto no. Tutto da mettere in prospettiva, visto che il film è stato visto da 546.000 persone, un terzo di chi su Canale 5 ha seguito la replica di Ciao Darwin 9.

stefano@indiscreto.net

 

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