Calcio
Fallimento più di Allegri che di Agnelli
Stefano Olivari 17/04/2019
Fallimento. La Juventus di Allegri e Agnelli è stata buttata fuori dalla Champions League da un Ajax che le è stato superiore per larghi tratti dell’andata e nel secondo tempo del ritorno. Ma non così superiore come ci stanno raccontando gli storyteller, nel dopopartita sembrava che al confronto Cruijff e Neeskens fossero degli sfigati.
Ahhh, signora mia, il progetto Ten Hag, altro che quel mestierante di Michels… Ma come? Ci dicono dalla regia che è ad Amsterdam da poco più di un anno… va be’, è pur sempre un progetto. Comunque per la Juventus 2018-19 c’è una parola che sintetizza tutto: fallimento. In relazione agli obbiettivi, chiaramente.
Fallimento perché quest’anno per varie situazioni di mercato e generazionali le favorite per alzare la Champions non erano le solite sette-otto ma soltanto tre: oltre ai bianconeri il Barcellona e il Manchester City. Fallimento non dei giocatori, perché ognuno ha dato ciò che aveva in corpo in questa primavera e lo stesso Cristiano Ronaldo a 34 anni è andato al di là delle più rosee previsioni, come rendimento e motivazioni. È in declino da almeno un paio d’anni, è vero, ma il suo declino è pur sempre meglio del top di quasi tutti gli altri. Il fallimento è secondo noi imputabile a due personaggi stracelebrati e che forse proprio per questo hanno perso il contatto con la realtà: Massimiliano Allegri e Andrea Agnelli. Ci costa dirlo, ma è un fallimento più di Allegri che di Agnelli.
Di Allegri siamo dichiaratamente cultori, con buona pace di Sacchi l’allenatore-gestore è l’unico tipo di allenatore che nel 2019 possa funzionare in un grande club che abbia giocatori al picco massimo della loro carriera, come è appunto la Juventus. Ten Hag, per dire, non potrebbe allenare il De Jong o il De Beek del 2022, mentre Allegri sì. Però quest’anno Allegri è apparso troppo compiaciuto e fenomeno, negli atteggiamenti e nei comportamenti: il libro con le sue regole per il successo, robaccia scritta in managerese anni Ottanta, sarebbe stato deriso dall’Allegri di una volta. Ha gestito male la rosa e la preparazione atletica in una stagione ampiamente programmabile, vista la ridicola concorrenza in serie A. Che poi nemmeno è concorrenza, con i presidenti che lo dicono anche e nemmeno vengono presi a sassate dai tifosi, fieri dei loro bilanci. Essere costretto a giocarsi la partita dell’anno senza Chiellini e Mandzukic, con quasi tutti gli altri sotto i loro standard fisici, è un atto d’accusa peggiore dell’essere presi a pallate da una squadra ora celebrata ma che l’anno scorso non ha vinto nemmeno l’Eredivisie (sarà un campionato allenante?) e in Champions è partita dai preliminari.
Poi si può discutere su De Sciglio preferito, e non per la prima volta, a un Cancelo in calo, sull’esclusione (peraltro quasi imposta dalle condizioni del brasiliano) di Douglas Costa, sulla gestione umana di Benatia che con la sua partenza ha fatto perdere un’alternativa importante e costretto a schierare Rugani. Da sempre poco interessato alla tattica, proprio come gestore Allegri ha perso più di un colpo: la scomparsa umana e sportiva di Dybala è un atto d’accusa fortissimo, al di là delle tante posizioni fatte cambiare all’argentino.
La seconda notizia della serata dell’Allianz Stadium, cioè la conferma di Allegri anche per l’anno prossimo (il contratto peraltro c’è già), è ancora tutta da decifrare: forse un annuncio per rasserenare l’ambiente e festeggiare nel dovuto modo l’ottavo scudetto consecutivo, più probabilmente un modo per ributtare la palla nel campo di un Allegri che qualche settimana fa in pieno delirio Zidane era pronto alle dimissioni o a farsi esonerare apposta. Un discorso del genere “Noi non ti cacciamo, ma se rimani il colpevole unico sarai tu. Secondo te i giornalisti italiani diranno che è colpa di Allegri o di Agnelli?”.