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Il gigante e il bambino
Oscar Eleni 02/11/2015
Oscar Eleni imboscato sull’aereo che ha riportato in patria, da Londra, dopo un mese di partite, giorni lunghissimi di preparazione, i Tutti neri neozelandesi del rugby campioni del mondo. Siamo andati nella regione di Aukland, fra i porti di Kaipara e Manukau per seguire Sonny Bill Williams, l’armadio che faceva il pugile, il gigante di origini samoane, ma anche australiane, e pure europee, perché non è facile incontrare una meraviglia come in questo sport globale dove crescono fiori malvagi. In un mondo dove devi sentire, a scadenze fin troppo vicine, le baggianate di certi allenatori, giocatori, dei presidenti federali alla Tavecchio, le confessioni dei molti che c’erano ma non hanno visto, sentito, detto mai niente come l’eterno Carraro, il gesto di questo campione ci ha ridato fede. Alla fine della sfida mondiale vinta contro gli australiani un bambino ha cercato di raggiungere il campo per festeggiare con i tutti neri. Placcato. Rispedito in tribuna. Williams ha visto, ha sfondato al punto d’impatto con i guardiani del tempio, uno di 193 centrimetri e 108 chili sa come fare, si è tolto la medaglia d’oro appena messa al collo e l’ha regalata a quel bambino. Perché Sonny Bill? Perché si ricorderà di me anche più dei miei avversari e della gente che mi ha applaudito.
Avevamo bisogno del mondiale di rugby per cercare una purificazione interiore, liberando la mente da tutta questa mistificazione venduta come sport. Certo anche il rugby adesso si vende e si compra, il giro del denaro è diventato enorme e ha già rovinato il giardino, ma poi ci sono questi terzi tempi, c’è una finale mondiale dove tutti, con il loro livido, il loro sangue procurato dall’impatto con quello che stanno abbracciando e che sanguina come loro, si congratulano e si sorridono mentre qui se giochi anche fra le patate alla fine sono tutti pronti a ringhiare. Pensate alle facce di certi gaglioffi davanti all’arbitro se si fossero trovati alle prese con un gigante come il gallese Owens, il miglir direttore di gara esistente, uno che anni fa annunciò al mondo di essere gay, di aver cercato di uccidersi perché si sentiva tale e che, fortunatamente, dopo aver fatto chiarezza con se stesso e con gli altri è tornato sul campo a guidare campioni, non a vessarli col fischietto, a dirigerli per farli stare nello spirito del gioco. Uno sport duro, senza sconti per la viltà.
Lasciateci cantare la gioia della palla ovale, ma non per infatuazione come se questi fossero tutti santi, no, per i principi di fondo. Ci vengono sempre in mente quando in altre discipline si urlano in faccia il peggio, tanto c’è la rete a dividere, quando chi è sfiorato si abbatte sul campo di calcio e di basket. Oh, finalmente, direte voi, è arrivato il basket. Certo ce ne occupiamo per una giornata di campionato che ha provocato l’ammucchiata a quattro sulla casella 8 punti, fermando la bella corsa di Pistoia, fatto capire che il malessere europeo di Sassari esige interventi rapidi e di purificazione se gli occhi di certi giocatori, quello sbuffare per l’errore che, guarda caso, è sempre dell’altro, porteranno aceto invece di mirra alla tavola di Romeo Sacchetti che, al momento, fra le squadre di vertice, è quello che soffre di più.
Menetti e Reggio Emilia stanno benino, vivono con il lusso di avere un Lavrinovic per ogni stagione, ma al tempo in cui si assegneranno trofei, prima a febbraio e poi, soprattutto, in primavera per i play off non basterà. L’anno scorso furono comunque finalisti o vate(r) di sventura. Lo furono contro i campioni di Sassari che all’inizio dell’ultimo inverno venivano trattati più o meno come oggi e quando ancora non si sapeva del fuoco amico che avrebbe steso Milano e Banchi. Quindi vorreste dirci che saremo smentiti per due anni di fila? Ce lo auguriamo per due società costrette a giocare in gabbie vergognose, a Reggio Emilia hanno addirittura rubato le maglie. Lo speriamo per il Sacchetti e i suoi risotti, per Menetti e la sua vita perduta da grande chef che incanta appena lo incontri anche se chi vive fra gli amuleti e la scaramanzia non ci ha mai convinto, come gli oroscopi che mettendo di fronte, spesso, gente dello stesso segno, nata sotto gli stessi influssi, esce dal campo o vincente o battuta.
Sassari dovrebbe seguire la strada scelta da Charlie Micione Recalcati per trovare la Reyer che aveva sognato in estate, prima che Green confondesse la laguna per un parco giochi privato. C’era bisogno di chiarire, subito. Lo hanno fatto. Stanno crescendo e tornando dove dovevano essere. Che poi abbiano una squadra da titolo lo capiremo in coppa Italia.
Non vorremmo che anche a Sassari succedesse quello che appariva evidente per Azzurra Tenera: separazioni in casa. Certo il problema diventa serio appena la squadra deve viaggiare. Costretta a fare sempre un volo più degli avversari, a perdere un giorno, magari due. Veleno nei muscoli e la testa reagisce male, come quando in casa non tutto è armonico e basta una banalità a far scoppiare la tensione. Il professionismo non impone amicizia, certo ci sono legami per la vita, ma anche gente che vedi sul campo e poi sai che si è ritirata per non vedere più nessuno e giocare soltanto al biliardo come ci ha detto Lentini, o fabuloso per il ratto, per i milioni, il talento, per la vita spericolata, dalle pagine di Repubblica. Quando stare insieme costa fatica, allora bisogna rinunciare a qualche dollaro e liberarsi subito del peso.
Non lo farebbe mai Varese che ha ritrovato il sorriso sul mare di Capo d’Orlando. Un sollievo per Paolo Moretti che non meritava di trovarsi in quella straordinaria isola del grande basket che fu Varese ora ridotta ad un palma dove pensano di vivere alla grande con un salvadanaio piccolo. Ma sarà costretta, probabilmente, a lasciare andare Roko Ukic, un giocatore di talento, con le mani d’oro come dice Toto Bulgheroni, uno che abbiamo visto fare cose immense e anche troiadas variadas, un figlioccio naturale della grande scuola slava e, nel caso specifico, di quella croata, quindi legato a Gelsomino Repesa da uno splendido vissuto in comune.
Milano sta crescendo come era logico. Un paio di soste per cambio gomme e tutto è tornato come doveva essere: i più ricchi e i più forti perché questa volta non hanno cercato di far coesistere troppo talento, ma si stanno impegnando per fare di un gruppo mercenario la squadra che avrebbe dovuto essere all’origine dell’impero Armani esteso al basket se invece dei talleri per comprare figurine figurine avessero lasciato spazio a chi era abituato a spendere per costruirle le squadre, sangue, uomini, muiscoli, teste diverse, seguendo il concetto che esiste lo splendore, ma prima ci deve essere la sofferenza e gl artisti si scoprono parlandoci, studiandoli in allenamento, un gesto , una carezza, una sclerata, non leggendo statistiche o facendosi imbesuire dall’agente di turno, magari quello che minaccia, che sa blandire, che trova sempre un telefono amico per proteggere chi lo farà diventare più ricco e potente. Se Milano prenderà Ukic non troverà più tanti ostacoli in Italia. Lo sanno le sue avversarie e questa volta sanno anche che Repesa non si troverà stritolato da situazioni interne dove l’allenatore diventa vaso di coccio, anche se sta facendo bene il suo lavoro. Ci è passato, Gelsomino, da certe trappole. È grande, grosso, ma anche agile e sa diventare volpe quando serve. Certo, avete ragione, pagelle e lasciamoci senza rancore.
10 Al BUSCAGLIA di Trento che dopo essersi fatto rimontare a Avellino non ha cercato scuse, ammettendo che il 4 in pagella se lo meritava più lui della squadra. Una maniera giusta per regolare in spogliatoio le cose come si deve fare quando i giocatori credono di essere qualcosa di più di ciò che sono in realtà.
9 A Vincenzo ESPOSITO per essere rimasto sereno anche dopo aver visto la differenza che esiste fra un vera grande ed una squadra costruita per fare bene, ma che deve pensare prima di tutto ad entrare nei play off. No, la salvezza è già guadagnata se guardiamo alla classifica e al malessere di chi sta in fondo.
8 A Stanko BARAC il due e diciassette sul quale, fino a domenica, era facile ironizzare partendo dal suo nome di battesimo. Se le sue chele lassù saranno antenne per ricevere e trasmettere, l’Emporio non avrà tanti problemi in Italia e forse ne avrà meno nell’Eurolega che poteva già essere diversa battendo l’Olympiakos.
7 Al KAUKENAS scalpitante che è costretto a guardare la sua squadra, sì Reggio Emilia è stata fatta perché diventasse somigliante alla sua immagine, dalla tribuna per infortunio, perché leggendo qugli occhi da velociraptor si capisce che i nuovi Grissin sono abbastanza Bon, ma forse non come quelli dell’anno scorso. Certo con questo Aradori si potrebbe salire un po’ di più, ma attenti al peso di certi tiri, all’armonia che manca se c’è sempre chi fa un palleggio in più.
6 Alla RAI per il suo Dai e Vai fatto con passione, anche se resta l’ingessatura aziendale e l’angoscia del confronto con l’eco di SKY, ma soprattutto per aver dovuto ammettere che la diretta del lunedì scelta da SKY fra Bologna e Caserta, ultime con 2 punti, non poteva essere contrastata e per questo ha spostato la puntata sul Giovane Montalbano alla domenica, perché non poteva certo essere disturbata da un Lazio-Milan o, magari da Sassari-Venezia fra i canestri, scelta finalmente azzeccata in anticipo.
5 A Stephen CURRY più che al solito Lebron JAMES, perché ci deprime, esaltandoci, questo suo navigare nell’iperspazio dei nani giganti, questa sua dolcezza nel gioco, nella ricerca del bello, arrivando al concreto, sapete non deve essere facile segnare 40, 50 punti anche in stagione regolare, cioè con il telepass difensivo in funzione perenne come da sempre nella NBA, perché siamo convinti che la sua naturalezza ha dietro un grande lavoro e invece, per troppi, allenatori in testa, questo è soltanto dono di natura.
4 A Boscia TANJEVIC che non ha resistito a guardare il mondo che girava al contrario nel suo amatissimo basket. Adesso ci toccherà tornare a soffrire per lui che ha accettato di essere la nuova guida della nazionale del Montenegro. Certo non sarà subito avversario, non ci saranno prove immediate, ma intanto avrà una scusa, ad esempio, per non darci un passaggio a fine novembre quando quelli di Spalato ci vorrebbero alla festa dei loro 80 anni. Nel viaggio gli avremmo spiegato che la stessa cosa non accadrà per gli 80 anni di Milano, adesso che la regia è affidata ai capitan Spaventa di un tanto al pezzo.
3 Alla TORINO neopromossa che speravamo di trovare bella solida nel nuovo viaggio. Hanno tante cose, cominciando da un palazzo decente in una città che ne ha altri due bellissimi, ma forse hanno sbagliato la miscela per far muovere questo motociclo che deve cercare una salvezza nella sofferenza. Speriamo si sveglino come l’anno scorso quando beffarono Verona.
2 A Patrick BAUMANN, eminente e geniale segretario generale della FIBA, perché nella esauriente intervista al Curierun con Vanetti non è riuscito a convincerci sul nuovo calendario e su questo attacco alla diligenza della eurolega proprio nel momento in cui resterà senza il cocchiere illuminato Bertomeu. Sembra, più che altro, un cavallo di Troia, poi un posto all’Italia solo per la squadra campione vuol dire aver già transato con i veri potenti del sistema in altre Nazioni.
1 Sempre al BAUMANN di Losanna quando dice al Vanetti che se l’Italia inserisse meglio i “ragazzi” della NBA, ragazzi?, potrebbe conquistare il posto per la prossima Olimpiade a Rio. Ora non veniteci a dire che è stato lui a dare la spinta definitiva per la rottura con Pianigiani. Sarebbe troppo.
0 Al PIANIGIANI silente, e invisibile sui campi, nella bufera dei sussurri senza baci, alla FEDERAZIONE per questo licenziamento in tronco da vendere come separazione consensuale dopo essere arrivati ad una specie di guerra dei Roses in via Vitorchiano. Su Messina daremo voti più avanti, cercando di capire che tipo di salto senza rete dovrà fare per sgnaciarsi dagli Spurs se dovessero arrivare alle finali play off.