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Il libro di Morgan, musica da leggere

Paolo Morati 15/01/2015

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Lo diciamo subito: Il libro di Morgan (Einaudi) è da leggere. Per vari motivi. A cominciare dal fatto che invita ad ascoltare e approfondire musica. E ancora: perché certamente parla del signor Marco Castoldi, del padre mobiliere, e ‘paninaro’, andato in rovina e suicidatosi, di Asia Argento e della figlia, ma anche di altri (tanti) argomenti oltre quelli biografici, saltando in certi punti apparentemente di palo in frasca ma riuscendo in realtà a riannodare la logica in modo sorprendente. Tanto da partire dalla paura di un ragno passando per la compassione e arrivando infine a citare un grande (anzi grandissimo) come Bruno Munari.

Il libro di Morgan ci è piaciuto, anche per aver scritto di uno strumento geniale come il theremin, basato sull’uso di un’antenna e delle mani per generare suoni, per il dichiarato amore per i sintetizzatori e il ricordo dei sequencer che giravano sui computer Atari ST dotati di interfaccia MIDI, e per l’assegnazione a Bach della definizione di compositore più elettronico della storia della musica classica, in quanto matematica. “In un certo senso io sono fatto di musica classica. E ricoperto di Duran Duran”, racconta. Il suo libro non è quindi (per fortuna) la biografia della star a uso e consumo dei teenager, ma una serie di spunti per pentagrammi ideali, scritti da chi da ragazzo leggeva (come noi, del resto) riviste decisive quali Ciao 2001, Tuttifrutti, Faremusica e poi ti piazza lì il confronto tra due band che ne hanno influenzato lo stile, Duran Duran e Depeche Mode: “I Duran hanno una differenza fondamentale coi Depeche, che salta subito agli occhi. I Duran sono meno snob. In un certo senso, sono persone normali. I Depeche Mode invece sembrano strani abitanti di un regno parallelo”.

Poi però Marco Castoldi racconta (e sono le parti che necessitano di maggiore attenzione) della composizione in multisessione, tra dissertazioni su musica sociale, dissonanze, tonalità, velocità dove la musica è contemporanea perché suona contemporaneamente. E si chiede e risponde: “Perché nella musica pop devi dire duemila volte tunz? Io preferisco dirlo una volta e basta… Il pop è bello per quello, perché è onnicomprensivo. A me il pop che piace è proprio quello in cui succedono cose continuamente”. E poi compie un altro salto triplo carpiato, a criticare la scultura accanto all’Ospedale San Raffaele di Milano, e ancora a citare Robert Fripp, la nascita dei Bluvertigo, i dischi da solista e la televisione di cui è diventato un protagonista e della quale non dice gran bene: “I talent show musicali hanno lo stesso impianto narrativo dei concorsi di bellezza tipo Miss Italia: devi saper fingere di cantare una canzone cinque minuti al provino… Il successo è una conseguenza, deve essere una conseguenza della conoscenza e del talento, non può essere «se faccio successo, allora poi mi metto a studiare». È esattamente il contrario…”.

Ma a un certo punto, nel libro di Morgan, c’è anche tanto, tantissimo, Franco Battiato, “uno che ascolti e automaticamente già lo sai”, c’è Biancaneve e viene meravigliosamente riscoperto il gruppo teatrale de I Gufi. Per poi lanciarsi in una lunga dissertazione su O mia bela Madunina e parlare del tema del fraintendimento a cui si lega… la teoria degli armonici naturali e della loro successione, con ampio spazio a Friedrich Nietzsche. In definitiva una lettura inattesa per come è costruita, per i temi che escono a sorpresa dal cilindro del musicista e gli spunti che fanno quantomeno fermare un attimo a ragionare… un po’ sovrappensiero.

“Al netto di tutto, la mia vita è esattamente quella che volevo fare, e l’ho fatto. Quando morirò, sarò morto di vita”.

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