Svegliarino
Il Milan di Ligresti
Stefano Olivari 18/09/2008
Oltre i soliti discorsi tecnici e mediatici, la questione societaria rossonera è qualcosa che risiede solo nel cervello di Berlusconi. Che al Milan non può dedicare la stessa forza del passato, non perché gli manchino i soldi (considerando la capitalizzazione delle sue aziende ed il patrimonio sarebbe competitivo anche con il russo della situazione) ma perché il trip dello statista che rimanga sui libri e soprattutto il sogno Quirinale sconsigliano di usare armi utilizzate dai rivali del presente ed a lui stesso utilizzate abbondantemente in passato (il solo Van Basten patteggiò in un tribunale di Milano, e non di Utrecht, per 41 miliardi di lire di redditi non dichiarati). A questo si aggiunge un discorso familiare difficile da fare senza entrare nel privatissimo: a livello superficiale si può dire che la figlia Marina voglia sganciare Fininvest dal Milan, le altre due figlie lo considerino un’azienda come un’altra, Piersilvio sia tiepido e Luigi sia l’erede calcistico designato solo per mancanza di concorrenti. Ciclicamente si legge di un disimpegno, ma al di là del piacere di fare un bel titolo manca la sostanza: se avesse davvero avuto questa idea Berlusconi avrebbe chiuso a fine 2007, da campione del mondo per club con una squadra fortissima ma evidentemente senza alcun futuro. Il compratore ideale c’era e c’è già: Paolo Ligresti, figlio di quel Salvatore accolto con snobismo nei cosiddetti salotti buoni e che con Berlusconi condivide più di una frequentazione. Insomma, sarebbe stato un Milan in mani amiche, ricche e soprattutto libere di muoversi secondo le regole del calcio italiano. Però il boss non ha voluto, quindi è presumibile che fino alla sua morte non cambi niente e che gli scenaristi debbano esercitarsi altrove. Rimane il discorso calcistico, con pochi punti fermi: a) Con la bugia sul Ronaldinho desiderato Ancelotti ha confermato un asse con Berlusconi che rende possibile un esonero solo in caso di disastro vero; b) Il budget a disposizione di Galliani non aumenterà di molto, nemmeno negli anni a venire, quindi in mancanza di svolte etiche ed etniche (non diciamo l’Athletic Bilbao, ma il ‘Milan dei lombardi’ più volte vagheggiato da Berlusconi) l’alternativa tecnica è fra cadaveri di lusso o emergenti di alto livello (il Kakà del 2003, per dire); c) Galliani è inamovibile, perché è uno della prima ora, per gratitudine e perché sa troppe cose: un suo licenziamento è impensabile. Ma l’affiancamento ad un giovane brillante, magari pilotato da Moggi, non è più fantacalcio.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it