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Svegliarino

Il muro di Bilbao

Stefano Olivari 26/07/2008

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Siamo per la sacralità della maglia, senza sfumature. Dove non arriva il romanticismo ed il senso della storia dovrebbe almeno arrivare il marketing: perché le squadre NBA sono così pazze da non avere sulla casacca niente oltre al proprio nome ed al logo dello sponsor tecnico? Insomma, una maglia ‘pura’ si dovrebbe vendere meglio ed essere percepita come meno ‘commerciale’ dal cliente-tifoso, anche nei paesi dei licenziatari ‘ufficiosi’ (gli ex taroccatori che fuori dagli stadi italiani vendono maglie sì autorizzate ma non prodotte e marchiate dall’Adidas o dalla Nike della situazione). Dopo 110 anni anche l’Athletic Bilbao ha deciso di svendersi, rinunciando a vendersi (vendere è difficile, non a caso è un mestiere): secondo Marca la Petronor, azienda petrolifera basca, per 2 milioni di euro l’anno metterà il suo nome sulle maglie biancorosse per le prossime 3 stagioni. C’è un solo precedente, però estemporaneo ed anche in questo caso con l’ipocrisia del sostenere la regione: nel 1994 in coppa Uefa e qualche anno fa in Copa del Rey l’Athletic giocò con la scritta Euskadi (cioè Paesi Baschi) per sostenere, a pagamento, il turismo locale. Continua a resistere il muro della nazionalità di chi va in campo, cioé solo i nativi delle sette province basche (tre sono in Francia, fra l’altro: infatti Lizarazu ha potuto giocare nell’Athletic essendo nato nel Labourd), nel calcio delle foche ammaestrate non è davvero poco.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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