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Calcio

La doppia remuntada di Maccarone

Paolo Sacchi 11/03/2017

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Remuntada, rimonta, chiamatela un po’ come volete. Al Camp Nou ne hanno appena vissuta una strepitosa. Dicono irripetibile. Nel nord dell’Inghilterra sanno bene che invece lo sia. Sanno che nel calcio tutto può accadere. L’alchimia di certi momenti produce effetti impensabili, che a volte tornano. Ritornare e rimontare in inglese si traducono allo stesso modo: comeback. Un “double comeback” in una coppa europea si è concretizzato poco meno di undici anni fa in un luogo, questo sì, impensabile. Due partite che hanno trasformato l’umore di una cittadina grigia e decadente, lontana migliaia di chilometri – anche in senso figurato – dalla capitale della Catalogna. Due scosse di adrenalina impensate e – chissà – forse irripetibili. Di cui lì si parla ancora oggi con i toni dell’epica, come abbiamo potuto verificare di persona.

Middlesbrough è un palcoscenico insolito per una doppia serata di grande calcio europeo. Fino alla metà degli anni ottanta il “Boro” è un anonimo club di provincia senza neppure un trofeo in bacheca. Anzi, l’aria che tira è talmente brutta che nel 1986 solo l’intervento di un miliardario locale evita la messa in liquidazione. Il benefattore si chiama Steve Gibson. Della formazione è – fattore non secondario – anche un noto sostenitore. Con il tempo Gibson ci prende gusto: poco alla volta, rastrellata quasi la totalità del pacchetto azionario, inizia a immettere denaro. Costruisce un nuovo impianto e, nel decennio successivo, si permette grandi acquisti. Più che grandi, incredibili: vedere Juninho e Fabrizio Ravanelli con la maglia rossa del Boro sembra uno scherzo da pesce d’aprile. Invece, per quanto surreale, è la realtà: nel 1996 l’ex giocatore della Juventus diventa il giocatore più pagato nella storia del club. Fin da subito, Silver Fox sale al rango di beniamino assoluto realizzando addirittura tre gol all’esordio contro il Liverpool. Non sarà però l’unico italiano capace di far impazzire i tifosi di gioia i tifosi: dieci anni più tardi, in due serate indimenticabili, la ribalta sarà tutta per Massimo Maccarone. Da mezzo flop nonostante i contrasti con l’allenatore, in due partite Big Mac diventerà l’uomo della leggenda del Riverside Stadium.

Un passo indietro. Nel 2004 il Boro vince finalmente il suo primo trofeo della storia. Batte in finale il Bolton e porta nel nord dell’Inghilterra la Coppa di Lega inglese. L’anno successivo arriva al settimo posto in campionato e quindi guadagna il biglietto d’accesso alla Coppa UEFA 2005/06. L’obiettivo è andare avanti quanto possibile, poi si vedrà. Facile passaggio del primo turno con lo Skoda Xanti, non è particolarmente impegnativa la fase a gironi. Nei 32esimi e 16esimi con Stoccarda e Roma l’equilibrio viene spezzato dalle reti segnate in trasferta. Si dice che la fortuna aiuti gli audaci: la formazione allenata da Steve McClaren approda così agli ottavi.

Non è fortunato il sorteggio: il Basilea già all’andata mette le cose in chiaro con un 2-0 che mortifica le speranze del Boro. Il ritorno inizia anche peggio: un tap-in di Eduardo dopo 23 minuti sembra spegnere ogni speranza: a questo punto servono quattro gol per passare (dopo la rete di Cavani, per dire, al Barcellona ne servivano tre). Invece, clamorosamente, uno dietro l’altro, arrivano tutti: doppietta di Viduka, poi Hasselbaink e, con la lancetta sul novantesimo, di piatto destro nell’angolino Maccarone piazza il pallone in rete. Svizzeri al tappeto. Lo stadio impazzisce: più che nel Teesside, sembra di essere in America Latina. In effetti lo si può comprendere: mai il Middlesbrough era arrivato così avanti in una competizione continentale. Oltretutto recuperando quattro gol in 67 minuti.

Il primo atto della semifinale si svolge a Bucarest. Ancora una volta il Boro soffre il mal di trasferta. Nel ritorno in Inghilterra – che la BBC definisce il “il più importante della storia del Riverside Stadium” – si parte dall’1-0 dell’andata per la Steaua. Lo stadio è esaurito, l’atmosfera è elettrica. L’inizio è traumatico: gli ospiti partono con il piede sull’acceleratore e provano a chiudere la contesa fin da subito. Una doppia marcatura in 23 minuti rimette i padroni di casa nelle stesse condizioni della partita dei quarti contro il Basilea. Ci sono altri quattro gol da recuperare in 67 minuti. Altra condizione assoluta è non subirne neppure uno. Com’è quel detto? Il fulmine non colpisce due volte di fila nello stesso posto. Impossibile che possa capitare ancora?

Tre minuti dopo il gol del 0-2 della Steaua, McClaren mette in campo Maccarone, che ancora una volta è partito dalla panchina. Sei minuti dopo Big Mac va già in rete. Diagonale da destra nell’angolino: 2-1, ovvero meno tre gol. La ripresa inizia con i rumeni che controllano e il Boro prova a spingere. Quando Viduka segna di testa il 2-2 nello stadio si sprigiona una strana atmosfera. Qualcosa che forse solo Doctor Who potrebbe spiegare: un viaggio nel tempo e nello spazio, come si entrasse in una realtà parallela, in sorta di dejà-vu. Al gol di Riggott che vale il 3-2, la sensazione cresce. Anche se per nulla al mondo qualcuno oserebbe dirlo ad alta voce, le persone intuiscono che qualcosa di impensabile potrebbe davvero accadere. Minuto 90, cross da sinistra di Downing. Sul secondo palo, in mezzo a un mucchio di teste, svetta quella di Big Mac. Incornata vincente: 4-3 complessivo. Il miracolo si ripete. Sembra un sogno ma è realtà. Il Boro è in finale: la perderà col Siviglia ma nulla potrà cancellare due serate e due rimonte clamorose. La leggenda del club che recuperò quattro gol due volte. Comeback again, Barça. If you can.

Paolo Sacchi, da Middlesbrough

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