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NBA Store, Michael Jordan vale il doppio: è ufficiale

Stefano Olivari 05/12/2018

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Non potevamo mancare all’NBA Store di Milano, il primo giorno dopo l’inaugurazione fatta da Dino Radja, alla caccia di regali per bambini che si esaltano per il quinto tempo di LeBron, per tiri da nove metri dopo 23 secondi di masturbazione e per schiacciate con il difensore più vicino a quattro metri. Dentro al primo negozio NBA in Europa, forse destinato a rimanere l’unico, la sensazione è stata strana: è abbastanza piccolo, ma del resto in corso Europa non è che si possa avere il capannone della Leroy Merlin, con meno gadget rispetto a quello (comunque deludente) sulla Quinta Strada, soprattutto non c’era dentro niente che avremmo acquistato per noi stessi. In altre parole, il tempo che passa si è scaraventato contro di noi con tutta la sua forza. Ma al netto della malinconia di chi faceva i salti mortali per avere gli ultimi arrivi (fossero anche stati i nuovi gagliardetti dei Kansas City Kings) dello storico negozio di via Lura 26 a Rho, gestito da Dante Gurioli, bisogna ammettere che la NBA di oggi non è peggio di quella degli anni Settanta-Ottanta-Novanta ed anzi, almeno in stagione regolare, permette di sopravvivere anche agli europei e ai giocatori tecnici. Poi è chiaro che le stelle erano meno concentrate in poche squadre, ma questo comunque non impediva le dinastie. Da non dimenticare poi la violenza diffusa, con episodi iconici come il pugno di Kermit Washington che quasi ammazzò Tomjanovich o il fallo di McHale su Rambis.

La riflessione non è però sui massimi sistemi o sulle diverse ere della pallacanestro, ma sui prezzi del materiale vintage (nel senso di riprodotto) presente in negozio. Nell’NBA Store di Milano non si va più indietro di Magic e Bird, nonostante l’età abbastanza alta dei frequentatori che abbiamo incrociato e che giustificherebbe almeno un Maravich, che nella loro versione Hardwood Classic vengono via a 120 euro: lo stesso prezzo di una maglia di Mike Bibby (nostro grande amore, ma non al punto di considerarlo come Magic e Bird) nei pessimi Vancouver Grizzlies 1998-99, di cui Bibby era stato prima scelta al draft, seconda chiamata assoluta dietro a Olowokandi e davanti a Vince Carter (5), Nowitzki (9) e Pierce (10). Non c’era in negozio Adam Silver con pistola a costringerci a comprare, quindi i ragionamenti cattocomunisti e/o pauperisti li lasciamo ad altri.

Siamo però rimasti colpiti dal fatto che di fianco a Magic-Bird-Kobe-eccetera in vendita a 120 euro ci fosse la riproduzione della canotta di Michael Jordan all’All Star Game 1991, praticamente a casa sua, a Charlotte, e vinto di due sull’Ovest (ma l’mvp fu Barkley). Ecco, quella canotta costa 240 euro. Come a ribadire, non da parte del nostro salumiere che non si stacca dal canale 206 ma dalla NBA, che la lega è stata sì salvata da Magic e Bird quando stava fallendo, ma è stato MJ a renderla un fenomeno planetario al punto di valere, pur in versione moderna, il doppio di autentiche leggende. C’è chi spiega la grandezza di Jordan con le statistiche e non ha torto, perché tutte le sue statistiche sono state realizzate nell’era dell’hand-check e quindi nella NBA di oggi i suoi numeri già grandissimi assumerebbero proporzioni mostruose. C’è chi la spiega in senso strettamente tecnico, ma anche (pochi) altri giocatori, James su tutti, hanno avuto la completezza di MJ e tanti hanno tirato meglio. La sua vera grandezza risiedeva nella considerazione che gli altri avevano di lui, nell’impatto tremendo su compagni e avversari (e forse avevano più paura i compagni), nel mito che si autoalimentava e che si autoalimenta a 15 anni dal suo ritiro definitivo. Nell’NBA Store del 2050 la maglia di Jordan ci sarà ancora.

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