Basket
Obradovic bravo e cattivo
Oscar Eleni 22/05/2017
Oscar Eleni dalla torre di Galata, approdo per i naviganti che sognano Istanbul, l’eredità lasciata dai genovesi che ricevettero in dono il quartiere di Pera da Michele VII Paleologo, imperatore d’oriente, per l’appoggio nella quarta crociata. Torre gialla con il cappello a punta, dicono le guide. Un posto buono per guardare il Corno d’oro, per sapere che nella parte asiatica di Istanbul, nel regno Fenerbahce che è stato anche califfato di Boscia Tanjevic, la storia non lascia mai spazio al caso, stanno facendo festa ad una bella squadra di basket multietnica che ha portato la prima eurocoppa per club nel paese che ha appoggiato l’eurocampionato con maggiore passione, ma anche quattrini, considerando che l’idea ha cominciato a volare alto, oltre la comprensione FIBA, con Turkish Airlines.
Dentro la torre nascondendo la ciocca di capelli che Antic ha tagliato, per scommessa vinta, al Gigi Datome finalmente liberato. Si portava dietro la scimmia della delusione dalla finale persa l’anno scorso contro il CSKA. Aggiungete il flop del preolimpico a Torino e capirete quella barba odiosa che lo fa sembrare un predicatore infelice. Speriamo che nelle prossime scommesse ci sia anche il taglio del barbone, maschera di calore come quelle dei giocatori faraone che anche con il caldo vanno in campo come fossero Tutankhamon e poi piagnucolano per la bua muscolare. Certo dobbiamo essere proprio affamati se la vittoria di una squadra con un giocatore italiano, un manager italiano, il Gherardini che da noi i legaioli non riuscivano a vedere neppure come prima soluzione per riavere un consorzio serio, ha fatto squittire quasi tutti.
Telegrammi, baci, abbracci, ma, naturalmente anche il suggerimento-ordine di non dimenticare la Nazionale di cui è capitano. Petrucci ci tiene e quando dice ‘Ad maiora’ al suo campione sa di cosa parla, nella speranza che poi riesca a spiegargli perché lo squalificherebbe nella demenziale concorrenza invernale fra Nazionali incomplete e un’eurolega che ha il diritto di espandersi se tedeschi e, magari investitori inglesi, volessero entrare meglio nella più intelligente delle idee scaturite da menti che pensano al profitto più che allo sport. Anche se nel caso dell’ULEB bisogna dire che sta tenendo fede ai principi che ispirarono i padri fondatori fra cui, non dimenticatelo c’era Gigi Porelli. Caro Presidente che fra poco non sarai più sindaco, ha ragione Bertomeu quando vi suggerisce di trattare, discutere, valutare prima di fare la voce grossa, sventolare un regolamento che, ovviamente, non varrebbe un fico per chi sta nella NBA dove, per fortuna, non sembra che abbiano bisogno di manovalanza italiana al momento oltre Gallinari e Bellinelli.
Gloria a Datome: non ha giocato benissimo, ma è stato hombre vertical, paziente nell’attesa che venisse il suo momento dopo aver visto le meraviglie di Kalinic, accidenti come è migliorato il serbo ungherese di Subotica, terra per grandi giocatori di scacchi, gli zompi di Vesely, i ricami regali di Bogdanovic che fa bene a sentirsi sempre Calimero quando il suo allenatore gli mangia la faccia per dargliene una più bella. Ah, lo capissero tutti i giocatori, ma qui se sgridi i bambini d’oro ti mandano via, perché c’è ancora chi ascolta certi musi da mona. Flice, il caro Gigi principe dei Sardi, di essere protetto da Epke Udoh il nigeriano dell’Oklahoma scelto come miglior giocatore delle finali, l’uomo che ha cambiato modo di vivere basket con il re burbero di Cacak, ma anche vita, da quando Gherardini è stato l’unico ad ascoltare il suo grido di dolore” mentre si offriva a tutti dopo la NBA da gregarione. Non tutti i viaggiatori viaggianti che vanno a cercare giocatori vedono bene. Per la verità molti di loro sono anche fra gli orbi del sistema che nei giovani italiani vedono soltanto difetti, tare originarie, senza farsi venire il famoso dubbio che dovrebbe ispirarli: se lavori bene su un giocatore magari migliora, magari trova il ruolo giusto. Certo devi lavorare e pensare basket.
Eccoci arrivati a Zelimir Obradovic davanti al quale si tolgono tutti il cappello, magari anche il giudice che lo condannò ad un anno di carcere per un incidente stradale col morto, magari anche Nebojsa Popovic, grande del basket jugoslavo, collega quando lavoravamo in Gazzetta, uno dei padri fondatori della grande scuola, un gentiluomo che dal re burbero fu trattato davvero male, cacciato dalla palestra, lui che quella palestra l’aveva metaforicamente fatta costruire per tutti gli Obradovic nati nella grande famiglia senza divisioni, perché lo aveva criticato, o magari soltanto stuzzicato. Eravamo presenti quel giorno a Belgrado mentre Tanjevic diventava di tutti i colori e i suoi azzurri, che poi diventeranno campioni d’Europa, non riuscivano a capire quello che poi è stato un brutto divorzio fra gente che amava due cose: il basket e le storie comuni che poi hanno salvato la scuola anche nella sporca guerra.
Onore all’uomo delle 9 coppe su 11 finali, al re di tutti loro che ha vinto con 5 squadre diverse. Cominciò facendoci male, proprio in Turchia nelle fina four del 1992, con il Partizan del suo concittadino Kicanovic e Djordjevic. Un capolavoro, come disse un Mike D’Antoni avvilito. Ha vinto a Badalona, col Real Madrid, 5 volte ad Atene sponda Panathinaikos, sempre ad Atene è stato campione del mondo nel 1998 con la Serbia. Un gigante. Niente da dire e in Italia lo abbiamo visto lavorare davvero bene a Treviso, dove Gherardini lo ha conosciuto, capito, sposato, in un certo senso, anche se le ruvidezze del capo sono sempre state gelati al limone nella mani dell’uomo di Forlì, l’italiano più conosciuto nel basket mondiale al momento. Il cavalier Giorgio Buzzavo domenica sera avrà stappato il suo prosecco meglio millesimato, anche se non è sempre facile averne di buoni come potremmo testimoniare, dipende dal gas, per celebrare il successo dell’allenatore che nel progetto Benetton ha sempre considerato come il migliore. Certo grandissimi Messina, D’Antoni, Blatt, ma Zelimir per lui è sempre stato speciale: ”Il più bravo, magari anche il più cattivo, ma era un piacere vederlo lavorare in palestra e anche fuori”.
Salutiamo la festa di Istanbul, stile, cornice, magari con qualche cialtrone di troppo in tribuna, d’altronde erano 16 mila e una finale coi greci, lo dice la storia, non è mai soltanto una sfida sportiva. Purtroppo. Ma dovremmo spiegarlo anche per altre vergogne vendute per tifo sportivo. L’eurolega è un campionato di altissimo livello. Non tutti erano preparati alla fatica fisica e mentale. Milano per prima, anche se stupisce che si siano sorpresi scoprendo la fatica. Diciamo che si sono autoaffondati da soli. Via verso la seconda edizione nella speranza che le finali a quattro vadano a città senza squadre coinvolte.
Torniamo a noi, nel piccolo villaggio, passando di nuovo nella Tele città di SKY con i suoi tremila pendolari al lavoro. Ci ha amareggiato vedere il giochetto delle scatole cinesi per dirette da studio. Per capire come sono cambiate le cose nel basket di Caulonia italica basta pensare che un tempo portavamo anche due finaliste, basterebbe sapere che dal 2001 non vinciamo e partecipiamo soltanto, che da 7 anni non avevamo un giocatore della nostra scuola sul podio: da Basile a Datome. Alle finali con un solo inviato, Oriani della Gazzetta. Non suona nessun campanellino d’allarme?
Passando vicino alla poltrona di Fantozzi, un pallone da basket dove chi prova a sedersi sa di rischiare la seduta obbligatoria e definitiva, prima sulla pelle poi dal chiropratico, ci siamo ricordati che negli interventi della giornata in cui si cercavano idee e futuro abbiamo colpevolmente dimenticato quello che ha detto Mornati, lecchese argento del canottaggio a Sydney, vicario del segretario generale al CONI, perché l’unica verità è stata forse la sua: “Costruite pure il miglior involucro, ma dentro dovete mandarci i giovani praticanti e, al momento, l’Italia dello sport vive la crisi del reclutamento”. Vero. Il resto sono balle per cicisbei. Smettetela con questa litania: palasport, ristorante, cinema, balletti, troiate variate. Andate in giro per campetti, fate la ronda davanti alle scuole. Pagate bene gli allenatori delle giovanili soltanto se andando in palestra vedete che i loro assistenti lavorano il doppio e non disegnano su nessuna lavagnetta di merda.
Torniamo al grigio di casa nostra avendo perso una domenica di play off. Colpa delle squadre che hanno resistito così poco davanti alle favorite. L’unico lato positivo della vicenda è che le squadre eliminate hanno tutte lasciato il campo applaudite dal loro popolo. Buon segno. Il basket si ama anche quando non vinci. Balle? Forse.
Sardara e Sassari individuano la carenza nella taglia fisica dei giocatori. Mah. Comunque sono già al lavoro. Vederli così carichi, adesso che a Cagliari sembra rinascere il fiore dei tempi in cui era il capoluogo a fare storia cestistica italiana, ci dice che non avremo bisogno di nessun Billionaire, ma soltanto di gente come l’uomo che guida così bene la Dinamo da tanti anni. L’uomo dello scudetto, tanto per non dimenticare.
Esposito ha fatto il massimo a Pistoia con una squadra dove i giocatori sono migliorati tanto dal primo giorno di lavoro. Vorrà dire qualcosa, cari invidiosetti del quartiere. Anche per lui un bel presidente come Maltinti. Non si sfugge da queste regole di base: armonia fra chi gestite dentro e fuori dal campo. Capendosi. Senza mai fare da spalla ai piangina.
Su Capo d’Orlando abbiamo già detto che sono stati la vera rivelazione dell’anno: alla faccia di chi pensa davvero che servano soltanto i soldi per andare a comandare. No cara gente. Ci vuole passione e lavoro, conoscenza, eh senza le basi dove vai.
Un po’ diversa l’eliminazione di Reggio Emilia. Triste perché quando è calato il sipario erano già tutti pronti ad una dichiarazione che faceva capire e non capire. Proprio come quando giocavano. Molti giocatori sul mercato. Tutti non sicuri di restare a parte Kaukenas che vorrebbe rimanere come allenatore, magari dei giovani, o assistente della prima squadra. In tanti, sussurrando, vilmente, chiedono la testa di Menetti. Le due finali scudetto non basteranno a tenerlo sulla panchina dove ha fatto cose bellissime. Succede. Certo deve fargli male sentire un Cervi, quello che nel play off abbiamo visto svanire, per gli incubi di Consolini che riferirà a Messina, dello stesso Sacripanti che sarà braccio destro di Ettorre, anche se lui un po’ ci ha guadagnato visto che la sua Avellino ha fatto strage nel bosco dei cervi reggiani, fare una dichiarazione tipo: ”Non sapevamo dove eravamo”. Giusto. Lui dov’era?
La volata per arrivare allo scudetto non richiede uno sforzo di fantasia dicendo che fra Venezia ed Avellino molti pensano che siano gli irpini attrezzati meglio per affrontare e affondare Milano. Hanno tentato anche in coppa Italia. Ma non erano così equilibrati come dopo l’arrivo di Logan. Certo Venezia li ha già buttati fuori dall’Europa, è arrivata davanti. Avrà il fattore campo nel forno del Taliercio. Una serie da godere, da non prevedere. Basterà l’utero traverso dell’arbitro sbagliato, la giornata storta del giocatore goloso, la visione errata dell’allenatore illuso.
Su Trento, come già detto per Capo d’Orlando, soltanto il piacere di veder confermato un concetto che è alla base vera dello sport: se esiste la società, se il muro dirigenziale tiene fuori i cachinni e gli inutili, le belle gioie, e i viziati viziosi, allora si può fare qualcosa che resterà. La città lo aveva dimostrato con la pallavolo plurititolata. Il basket ha copiato, non imitato, ha cercato una sua strada in un palazzo bello ma non confortevole per chi va in tribuna, soprattutto nel basket. Costruita la fortezza è stato scelto il guardiano di porta: Longhi per il mondo che sta fuori le mura, Trainotti per il giardino interno. Poi serviva un monsieur Le Notre come al re Sole per Versailles. Maurizio dei Buscaglia. Nobile allenatore che ha già firmato per altri tre anni. Queste sono le società, anche se potrebbe capitare di vedere andare in un mare più grande proprio il manager. Sarebbe magari giusto per lui, ma una perdita seria per la comunità delle Aquile.
Vedremo. Cosa faranno sul campo? Hanno un sistema difensivo che potrebbe denudare la Milano delle pance piene. Se Repesa lascerà andare la barca con la timone Cinciarini, finalmente uno che sa parlare a compagni spesso distratti, con rematori che faticano senza chiedere un goccio d’acqua, senza lasciare spazio a chi cerca il profumo dei facili applausi, forse quella difesa non basterà in una serie al meglio delle sette partite. Certo per chi ancora ricorda e maledice i 10 punti del primo quarto casalingo, contro i siciliani del Di Carlo sette bellezze, resta il dubbio di avere a che fare con giannizzeri ben diversi da quelli di Obradovic. Lo sappiamo dall’eurolega, dallo stesso finale in un campionato che va vinto convincendo perché l’atmosfera è quasi simile a quella di Reggio Emilia.