Parlare di politica?

20 Giugno 2024 di Stefano Olivari

Si può parlare di politica in un contesto sportivo? Una domanda che nasce dall’attualità, cioè dalle prese di posizione di alcuni calciatori francesi, da  Mbappé a Thuram, in vista delle imminenti elezioni in Francia, ma anche come al solito da fatti personali. Uno dei nostri primi ricordi, negli spogliatoi del campo Kennedy (periferia ovest di Milano, ça va sans dire), era un cartello pieno di raccomandazioni igieniche, con l’aggiunta significativa di “È vietato parlare di politica”. Non era una raccomandazione ideologica, ma banalmente un modo per prevenire litigi in quello che era un centro sportivo pubblico. Era ed è così ancora oggi in tanti club privati, dove gli iscritti non hanno voglia di avvelenarsi in quelle due ore anche se poi magari litigano per una decisione del VAR o per l’importanza storica da attribuire a Barella. L’idea di fondo, valida (o non valida) da Mbappé all’ultimo degli amatori, è che ci sono contesti in cui agli altri frega zero delle tue idee politiche.

Come prevedibile destra contro Mbappé e Thuram, peraltro piuttosto tiepidi nella loro presa di posizione (Mbappé è addirittura macroniano, mentre Thuram è costretto dal padre a fare quello intelligente), e sinistra a favore nel nome della libertà di espressione (e se Deschamps avesse dichiarato il suo sostegno a Zemmour?). E microcensure quasi dappertutto, con la FIGC e altre federazioni che cercano di prevenire le domande di questo tipo, riuscendoci benissimo visto che molti inviati sono per loro natura embedded. L’unica cosa che non si può censurare è il nazionalismo, diversamente le nazionali non esisterebbero. Ma la domanda di fondo non cambia: si può parlare di politica sfruttando la propria popolarità derivante da sport o spettacolo?

La risposta più diffusa è un no, soprattutto nel calcio visto che club e procuratori ammaestrano i giocatori in questo senso. Può valere il sì per posizioni molto generiche (nessuno è contro la pace) o per slogan vuoti come quello sul cambiamento climatico, e se proprio uno non si sa mordere la lingua può al massimo dire qualcosa di progressista, se non di sinistra. Lo citiamo spesso come esempio di giornalismo e quindi lo ricitiamo: perché quel servizio del Guerin Sportivo del 1976, con le preferenze politiche giocatore per giocatore (non erano congetture, il 90% degli interpellati rispose), oggi non sarebbe possibile? Eppure chi prova a chiedere c’è sempre, in tanti in questi anni ci hanno provato. La nostra personale risposta al sondaggio è un grosso sì, non è che sulle politiche francesi il parere di Scamacca valga di meno di quello di un trapper. Al di là del fatto che lo sportivo agonista sia naturalmente di destra, anzi per certi versi sia un sintesi di quelle che molti da un po’ (il primo a farlo ci sembra sia stato Bersani) definiscono ‘le destre’, proprio per forma mentale.

stefano@indiscreto.net

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