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Atletica

Più soldi ai Petrov

Stefano Olivari 24/08/2009

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di Stefano Olivari
L’atletica leggera è il vero sport mondiale, visto che tolte alcune specialità non ha bisogno di grandi strutture per far emergere il talento quando il talento c’è: anche a Cipro, anche ad Anguilla. Un campo, un tecnico di valore (spesso nemmeno quello, soprattutto il mezzofondo è pieno di allenatori per corrispondenza), un gruppo di ragazzi motivati. Senza autoflagellazioni ci sta quindi che in questa realtà 37 paesi abbiano guadagnato una medaglia a Berlino e che fra questi non ci sia la DDR del terzo millennio, l’Italia degli impiegati statali (definizione usata anche dal presidente della Fidal Franco Arese) che al microfono di Elisabetta Caporale sembrano più preoccupati di ringraziare un colonnello scaldasedia che di fare progetti per il futuro. Non generalizziamo, però. Ogni atleta ha una sua storia, per questo fa male leggere mail di tono calcistico contro Schwazer (che nell’anno post-olimpico si è allenato più che mai ma che è stato giudicato da qualche giornale con il metro Magnini-Montano, che peraltro sono due che al di là delle apparenze si fanno un culo così) e non vedere evidenziati i sacrifici della Giordano Bruno (che ogni giorno deve andarsi ad allenare in Slovenia, con le aste sul tetto dell’auto) o della Weissteiner. La cosa che troviamo incredibile non è l’assenza di un Bolt italiano, che non può essere creato dai 1500 euro al mese delle Fiamme Gialle, ma la scarsità di atleti di livello medio in uno dei pochi paesi al mondo che ancora sfrutta il traino dei corpi militari. Discorso che vale nelle specialità senza mercato, come i lanci (Claretti e Vizzoni esempio positivo), ma anche in quelle dove il ‘privato’ tiene a galla un’attività che fatica a trovare spazio anche nelle brevi dei giornali sportivi: la filosofia di trasformare mezzofondisti medi in buoni maratoneti è arrivata finalmente al capolinea, visto che nessun italiano ha partecipato alle due maratone mondiali. Dal libro dei temi del giornalismo sportivo dovremmo estrarre l’immortale ‘Bisogna riportare lo sport nella scuola’, ma chi ha frequentato una qualsiasi scuola italiana sa benissimo che tutto dipende dalla passione di un insegnante di educazione fisica che fuori dall’orario di lavoro ti porta in un campo dove si fa sport sul serio. E allora? Meglio il centralismo, per niente democratico perchè la democrazia non è efficiente, con dieci grandi allenatori pagati bene, che una miriade di militi ignoti (la curiosità è che spesso sono fisicamente uguali: barba bianca e abbronzatura, come il Cesare Rubini-Siro Siri genialmente tratteggiato da Moretti in Palombella Rossa) costretti al paesello a motivare gente sicura dello stipendio statale e dei mille euro in nero più prosciutto e prodotti tipici del meeting di Vattelapesca. Quando due anni fa Petrov lasciò Gibilisco per seguire a tempo pieno la Isinbayeva fu trattato quasi come un mercenario, ma va ricordato che al migliore del mondo nel suo campo la Fidal corrispondeva 20.000 euro lordi a stagione. Diamo i soldi ai più bravi, magari quelli meno bravi avranno una motivazione in più. Semplicistico, ma anche semplice.

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