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Calcio

Povertà dell’ultrà

Stefano Olivari 15/03/2013

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Indiscreto sta partecipando al Festival di Berlino, la spariamo grossa. Non quello vero, ovviamente, quello che l’anno scorso ha assegnato l’Orso d’Oro all’indigesto Cesare deve morire, ma 11 mm. Giunto alla decima edizione, il Fussballfilmfestival iniziato ieri vede fra i partecipanti un documentario a cui abbiamo dato (traduzione: Giorgio Specchia ha dato) un significativo contributo sia in prima persona, nelle interviste (il suo-nostro Il Teppista è un successo anche in Germania, dove è venduto proprio con il suo titolo originale dall’editore Burkhardt) in diverse scene del lavoro realizzato dalla ZDF con la consulenza dell’ottimo Kai Tippmann, che come suggeritore degli autori tedeschi per muoversi nelle realtà ultrà di varie zone d’Italia. Il film-documentario si intitola Verruckt nach Fussball – Eine Reise durch die Fankurven Italiens ed è, appunto, un viaggio in varie zone d’Italia alla ricerca del senso dell’essere ultras oggi. Quindi non la solita cronaca di scontri (“Eravamo due contro cento” e via inventando), ma nemmeno l’apologia di un presunto tifo ‘buono’. La tivù pubblica tedesca ha puntato il racconto su come decine di migliaia di giovani italiani preparino ogni partita. Guardare per credere, visto che siamo in l’Italia si segue bene anche sapendo dieci parole di tedesco. Non solo realtà di cui ogni tanto i media si occupano, come Inter e Lazio, ma anche Torino, Catania, Ancona, Varese… Nostra impressione personale: il periodo dell’ultrà di professione è in generale finito, a parte qualche eccezione prezzolata dalle società con obbiettivi mirati, e il documentario mostra bene questa realtà ridimensionata dove chi sta in provincia non è che sia messo peggio di chi sta nelle metropoli. Impressionanti sono la quantità di tempo spesa nella preparazione di striscioni, in capannoni da scena finale di film di Van Damme, ma soprattutto i discorsi degli intervistati: nessuno è interessato a rigori, calciopoli, sudditanze psicologiche, colpi di mercato, come sono invece i tifosi in canottiera rigata e Sky, ma tutto lo sono a concetti di appartenenza e di identità così antichi da sembrare modernissimi. Ammettiamo di essere più simili all’italiano di Sky-Mediaset Premium, per questo chi crede in qualcosa (anche ad altri tipi di imposture e forme di controllo sociale, tipo le religioni) riesce sempre a colpirci e a farci riflettere. Il bello di questo festival è che non ha l’ossessione delle cose nuove, ma permette la partecipazione anche ad opere del passato non presenti nelle precedenti edizioni. E così vai con Fever Pitch, Maradona di Kusturica, Il Miracolo di Berna, il Maledetto United, eccetera. Due soli i premi. Quello al miglior documentario, favorito Maradona. E quello al miglior film: favorito Fever Pitch, anche se il Maledetto United si può guardare dieci volte senza annoiarsi e pur conoscendo già la storia di Brian Clough.

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