Cinema
Rogue One e un futuro di attori digitali
Paolo Morati 09/01/2017
Arriviamo tardi con la recensione di Rogue One, il primo capitolo antologico di Star Wars in cui si narra del furto dei piani della Morte Nera, ormai sviscerato in tutte le salse e parole da chi l’ha già visto. Lo facciamo comunque per dire che il film, dal contenuto ampiamente bellico e mascalzone (rogue, insomma) è per certi versi il migliore della saga di Guerre Stellari post trilogia ‘classica’, e comunque superiore a Il Risveglio della Forza uscito alla fine del 2015 e del quale si attendono ora i due seguiti.
Visto rigorosamente in due dimensioni, a dominare in Rogue One sono scenari chiaroscuri per tutta la prima parte per poi fare luce in tutti i sensi su una storia dall’esito ampiamente intuibile per chi conosce Star Wars, ma con la piacevole sorpresa di un senso di realismo vintage che non esagera in effetti speciali (qualcosa del resto di apprezzabile già in Episodio VII) e che si concentra in tutta azione senza andare a svariare su rapporti interpersonali, lungaggini e iperbolismi che avevano minato diverse parti della seconda trilogia, rendendola in certe sequenze vicina a un mix tra soap opera ed epopea da super eroi.
Il cast di questo primo capitolo a parte (il prossimo sarà su Han Solo) è azzeccato (la vera star istrionica è Donnie Yen, con Felicity Jones e Diego Luna che hanno il merito di non andare mai sopra le righe), tratteggiando protagonisti che non si fanno ombra a vicenda e lasciano spazio al contorno. Ben inseriti in Rogue One anche i tanti riferimenti al passato della Nuova Speranza che senza invadere il campo permettono a chi cerca una continuità di non perdere l’orientamento e smarrirsi nella trama, dando diversi stimoli di continuità. Con un Darth Vader che quando nel finale accende la spada laser ruba inevitabilmente la scena.
Il vero snodo e stimolo di riflessione di Rogue One, mettendo da parte le considerazioni sul film nella sua essenza, è tuttavia l’uso di interpreti ‘digitali’ per dare i volti originali al governatore Tarkin (un Peter Cushing inquietante per il suo realismo in computer grafica) e alla giovane principessa Leia (pochi attimi per le sembianze da ragazzina di Carrie Fisher, mancata di recente), il che ci fa pensare che prima o poi arriveremo ad avere nelle sale nuovi film interpretati totalmente da star ormai tornate da tempo all’energia della Forza. Altro che 3D (che non amiamo e sta inevitabilmente perdendo colpi): è questo il vero futuro del grande schermo?