Cinema
Antonia, poesia e disperazione
Stefano Olivari 22/02/2016
Antonia Pozzi è stata uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, come si potrebbe leggere su un’antologia di quelle davvero polverose. Lo stiamo però dicendo a noi stessi, che per pura ignoranza (giustificata solo in parte dal fatto che ogni giorno analizziamo compulsivamente lo stato di forma del Gent o del Llanelli) la conoscevamo giusto di nome nonostante su di lei sia stato scritto tantissimo. Il giudizio è di molti critici e soprattutto di Eugenio Montale, di sicuro non siamo in grado di aggiungere qualcosa anche soltanto di banale. Però pensiamo che Antonia, il film a lei dedicato e da poco visto al cinema Mexico (una delle ultime sale indipendenti di Milano, motivo già valido per frequentarla, nota anche per l’appuntamento fisso con il Rocky Horror Picture Show), pur essendo di qualità non le renda fino in fondo giustizia. Il suo percorso creativo e di vita, dai sedici ai ventisei anni (non è spoiler dire che si è suicidata nel 1938, nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle), è quello di una ragazza alla ricerca di qualcosa che esca dai binari di una vita già scritta: figlia di un avvocato milanese, liceale innamorata del suo professore di greco, piena di conoscenze ma con poche, forse una sola, vera amicizia, laureata in filologia con tesi su Flaubert e una carriera da insegnante appena iniziata. Antonia sta male e non soltanto per i suoi amori ostacolati (quello con il prof) o non corrisposti, ma si ribella soltanto attraverso le poesie, le fantasie sessuali e il silenzio che trova nelle amate Grigne: proprio a Pasturo, nel lecchese, è stata sepolta. Il film di Ferdinando Cito Filomarino, il terzo girato sulla vita della Pozzi, rende molto bene il clima dell’epoca senza pippotti sul fascismo (non che all’epoca fossero tutti fascisti, ma alla gente media della libertà di opinione non frega niente) e ha il merito di incuriosire anche i più distanti dalla poesia. Il difetto dell’opera, prodotta da Luca Guadagnino (e si vede), non molto ricca di esterni ma con dettagli curatissimi, è fondamentalmente narrativo: il malessere di questa ragazza, interpretata da Linda Caridi, rimane sempre in superficie, al punto quasi di collegarlo alle sue storie sentimentali. Quindi se avesse trovato il grande amore non si sarebbe ammazzata e non avrebbe scritto? Forse il secondo livello è che l’arte nasce sì dalla disperazione ma che la disperazione non è spiegabile, di sicuro la vita di Antonia Pozzi ci arriva addosso con moltissima forza. Tutte le sue poesie sono state pubblicate postume e lei, parafrasando Gianni Clerici, è stata postuma in vita.